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congresso cgil: alla ricerca della partecipazione

“Perchè non ci serve un leader acclamato dal popolo, ma centinaia di migliaia di leader nei luoghi di lavoro e nel territorio”

Oggi 11 Marzo 2014 ho preso parte al mio ultimo congresso di questo XVII congresso della Cgil. Mi congedo da questa esperienza con una breve riflessione e il racconto di un esperimento.
Sono entrata nella Cgil 10 anni fa e questo è il mio 3° congresso. Il primo l’ho vissuto nel territorio, il secondo alla cgil nazionale. Questa volta ho avuto il privilegio di vederlo da entrambi gli osservatori: quando a Corso Italia ha preso il via il dibattito del gruppo dirigente e poi qualche mese dopo, quando ha varcato la soglia delle fabbriche.
E’ scontato affermare che tra questi due “congressi” c’è un abisso.  La crisi della rappresentanza si misura anche così (e per fortuna abbiamo un radicamento che ci consente ancora di misurarla) e il congresso dovrebbe essere l’occasione per affrontarla.
Ripensandoci fanno sorridere i sovrabbondanti discorsi sulla partecipazione, la discussione libera, il ruolo degli iscritti, l’apertura della nostra organizzazione. Appaiono una intenzione tanto declamata, quanto poco praticata, o forse difficilmente praticabile in queste forme.


Sento pronunciare cifre roboanti rispetto al numero ragguardevole di centinaia di migliaia di iscritti che hanno votato nel corso delle assemblee di base, ma con onestà, sappiamo bene quanto questi numeri non coincidano necessariamente con una effettiva partecipazione.
Ho svolto assemblee in fabbriche segnate dalla crisi, in cui riuscire ad interessare i lavoratori al dibattito congressuale è stata una missione impossibile. Ma non è stato affatto scontato neanche nelle aziende che se la passano un po’ meglio. Certo la scarsa accessibilità di quanto contenuto nei documenti, negli emendamenti e in tutto l’apparato burocratico/congressuale non aiutano. E’ compito del funzionario rendere fruibile il congresso ai lavoratori. Ma se ci vogliamo dire la verità negli interventi svolti in azienda la piattaforma rivendicativa del documento nazionale è apparsa la “solita solfa”: cose scontate che chiediamo da anni e che tanto non riusciamo ad ottenere (i più affettuosi mi hanno detto “tanto la politica non vi ascolta”).
Forse sarebbe stato più utile discutere di come ottenerle. Devo dire che in qualche caso ci ho provato e ho enunciato delle strategie rispetto a cui interrogare gli iscritti (costruire un sindacato europeo? adottare forme di lotta più incisive e comunicative? il rapporto con il territorio? spenderci in battaglie mirate? costruire più unità nel mondo del lavoro? etc…).
Ma forse non siamo più “educati” a questo tipo di discorsi o semplicemente la crisi, la paura, il ricatto rendono velleitaria tale ambizione (e cmq mi chiedo, ma la paura, riusciamo a socializzarla fino in fondo nelle assemblee?).
Quando invece mi sono trovata nei congressi con la presenza di entrambi i relatori vi è stato un atteggiamento di fastidio da parte dei lavoratori, i quali avevano la netta sensazione che stavamo portando lì le nostre beghe “interne”. Anche il voto tra due opzioni alternative non pare proprio regalare grandi emozioni, salvo il gusto, per una stretta minoranza, di poter espriemere un voto “contro”.
In ogni caso un congresso nei luoghi di lavoro non è mai una perdita di tempo, non tanto per quel voto raccolto e verbalizzato che consente di eleggere i gruppi dirigenti, quanto per esserci stati, per gli sguardi, le battute, le sensazioni che in quelle mense striminzite ci siamo scambiati. Ma anche solo per aver avuto l’occasione di fare qualche riflessione sui problemi del “mondo”, sul lavoro e sulle politiche per difenderlo. Non lo baratterei mai con una scheda che elegge direttamente il capo, anche se forse i nostri iscritti avrebbero l’impressione di “contare” di più.

Finite le assemblee in azienda iniziano i congressi veri e propri, quelli con le commissioni politiche ed elettorali, le presidenze, la commissione verifica poteri etc… In genere a questi livelli la discussione diventa rituale e ingessata, anche se la sola narrazione delle tante condizioni differenti rappresenta sempre e comunque una ricchezza per tutti.

Ma non possiamo accontentarci e rinunciare a ricercare una partecipazione più viva.

La ricchezza della nostra grande articolazione può uscire rafforzata con la sperimentazione e l’innesto di momenti di partecipazione più fluidi ed orizzontali.

Ecco un esempio che posso raccontare e socializzare:
Il direttivo uscente della mia categoria, il giorno in cui il regolamento prevedeva l’approvazione del dispositivo di indizione congressuale, finiti gli adempimenti burocratici, si è diviso in gruppi di lavoro ed ha avviato un percorso di costruzione partecipata del documento congressuale della categoria territoriale. I gruppi di lavoro hanno prodotto brainstorming, discussione, consenso, scelte condivise. Questa modalità ha consentito lo scambio diretto di esperienze, ha favorito la presa della parola da parte di tutti, ha prodotto una ricerca collettiva sulle difficoltà e le strategie, ha portato il dibattito ad un livello di concretezza e presa in carico dei problemi.
Il congresso della mia catogoria non ha quindi approvato il solito dispositivo conclusivo “general generico”, ma un piano di lavoro frutto della discussione diretta tra i delegati.
Non un documento che assegna le responsabilità al mondo intero, ma che le carica su ogni partecipante, proprio perchè individua strumenti di azione ed autogestione.
Non è la rivoluzione, ma un primo passo per cambiare davvero: i delegati ne sono usciti arricchiti e si sono sentiti parte attiva della categoria.
Useremo questo metodo anche nella realizzazione del piano di lavoro: sperimentazione e innovazione sono le parole chiave di ogni impegno contenuto nel documento.
Se realizzeremo anche solo la metà dei punti elencati sono sicura che fra 4 anni sarà più facile andare nelle fabbriche e coinvolgere lavoratrici e lavoratori nel dibattito congressuale. Perchè la partecipazione attiva e consapevole dei delegati (quantomeno laddove ci sono) è l’unico antidoto per frenare l’utoreferenzialità.
Perchè non ci serve un leader acclamato  dal popolo, ma centinaia di migliaia di leader nei luoghi di lavoro e nel territorio.
E poi perchè la partecipazione è difficile da costruire.. ma, quando arriva, diventa più contagiosa della varicella.

Published inDiario sindacale

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