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#viviseves: quando la fabbrica fa comunità

La fabbrica è un luogo che appare chiuso, misterioso, quasi una fortezza. Spesso mura e cancelli la separano dalla città.
Eppure la fabbrica caratterizza fortemente il territorio. Dentro c’è un pezzo di storia, fatto di abilità, creatività, tradizioni, artigianalità.
Infatti la fabbrica appartiene alla comunità quando ha una storia forte da raccontare che si tramanda per intere generazioni.
La Seves è una di quelle fabbriche che, nonostante le piccole dimensioni, risponde a queste caratteristiche.

Si tratta di uno stabilimento storico, insediato in un quartiere molto vissuto, Castello, appena alla periferia di Firenze. La Seves lavora il vetro in un quartiere dove la tradizione dei vetrai era molto presente e produce mattoni in vetroresina di alta qualità, in termini di design e prestazioni. Tanto per interderci questi mattoni in vetroresina sono stati utilizzati da Renzo Piano per costruire la Maison Hermes di Tokio (e Renzo Piano ha recentemente spiegato il perchè).
Infatti la crisi dell’azienda non è legata alla crisi del prodotto, quanto più a scelte industriali e finanziarie a dir poco azzardate.
Tali scelte hanno portato ad un forte indebitamento, alla chiusura del forno, alla cassa integrazione per gli operai, all’acquisizione del gruppo da parte di un fondo di investimento tedesco, il quale, però, ha deciso di interrompere la produzione nello stabilimento di Castello, a fronte delle produzioni di bassa qualità già da tempo delocalizzate in Republica Ceca.
Ma non voglio qui analizzare la storia, purtroppo neanche tanto originale, della perdita di un pezzo prezioso di made in italy a fronte di speculazioni finanziarie e delocalizzazioni.
Voglio provare a riflettere sulle forme di mobilitazione adottate dai lavoratori che, con l’arrivo delle lettere di mobilità, si sono trovati in una condizione disperata, dopo anni di lunga e dura lotta.
Avrebbero potuto mostrare tutta la loro esasperazione salendo su un tetto o barricandosi nel forno della fabbrica, si sarebbero accesi i riflettori, come in altre vertenze, per poi spegnersi il giorno successivo, lascendo cadere nel vuoto gli sterili attestati di solidarietà.
Ma i lavoratori insieme al sindacato hanno deciso di tentare un esperimento, invece di rinchiudersi nella fabbrica, far entrare la città in fabbrica.
Un tentativo apparentemente naif, ma decisamente significativo. Infatti il valore della fabbrica sta tutto qui: nelle mani degli operai, nella tradizione del territorio, nell’appartenenza ad una città.
Così i cancelli della Seves sono stati aperti ai fiorentini il 3 febbraio per i match di improvvisazione teatrale a tema, il 17 febbraio per una gara di cucina (Seveschef) a cui hanno partecipato chef e rappresentanti delle aziende del territorio, il 15 marzo per una mostra d’arte e installazioni create direttamente in fabbrica.
Centinaia di persone hanno varcato i cancelli della fabbrica e l’hanno vissuta come un luogo di incontro, cultura, in fondo uno spazio pubblico. Hanno potuto conoscerla e ammirare i vetromattoni presenti in tutto lo stabilimento.
Molti si sono offerti per dare una mano o semplicemente organizzare una iniziativa.
In questo mese di eventi non solo la stampa locale, ma anche i media nazionali hanno parlato della vicenda: Piazza Pulita, Agorà, Caterpillar, Presa Diretta, solo per fare alcuni nomi.
Accanto alle iniziative è partita una campagna di comunicazione che ha fatto da filo conduttore, anche grazie all’utilizzo dei social network (link fb / tw / sito).
Una campagna dal nome #viviseves, la città in fabbrica.
L’obiettivo dichiarato della campagna è che i fiorentini vivano la seves, affichè la seves torni a vivere.
La comunità di Castello, e piu in generale la città di Firenze, si sta identificando in questo luogo, si sta specchiando (o meglio ri-specchiando) nei vetromattoni della Seves, e vi riconosce la propria storia, fatta di lavoro e dignità.
O perlomeno questa è il nostro auspicio, l’ultima sfida che può salvare la Seves.
Intanto alcuni possibili compratori iniziano ad affacciarsi.
Incrociamo le dita mentre la lotta continua, anzi per dirla meglio… mentre prepariamo la prossima apertura 😉

 

 

 

Published inDiario sindacaleOrganizing ed esperimenti sindacali

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